E’ una sentenza che sta suscitando reazioni accese e
contrastanti, quella resa dalla Corte di Giustizia europea ieri 13 maggio,
nella causa C-131/12: il gestore di un
motore di ricerca su internet (nel caso di specie, Google) è responsabile del trattamento dei dati
personali che compaiono su pagine
web pubblicate da siti terzi. Di
conseguenza il gestore, in caso di legittimo esercizio, da parte dell’utente,
del proprio diritto alla privacy e
all’oblio (cioè ad essere “dimenticati” quando le informazioni presenti sul
motore di ricerca siano inadeguate, irrilevanti o non più pertinenti), è
obbligato a sopprimere, dall’elenco dei risultati di ricerca, i link verso pagine web pubblicate da
siti terzi e contenenti i dati personali
dell’utente stesso.
Com’è arrivata la
Corte a questa decisione?
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Il fatto:
un cittadino spagnolo – nel caso portato all’attenzione
della Corte –, inserendo il proprio nome nel motore di ricerca di Google,
rilevava che nell’elenco dei risultati comparivano dei link verso due pagine di
un quotidiano spagnolo, datate 1998, che facevano riferimento ad una vendita di
immobili a seguito di un pignoramento effettuato per la riscossione coattiva di
crediti nei suoi confronti. Una vicenda della quale non contestava la
veridicità, quanto piuttosto il fatto che fosse ormai stata interamente
definita da diversi anni e, pertanto, fosse irrilevante che comparisse tra i risultati di ricerca di Google.
Di conseguenza, il cittadino spagnolo presentava all’Agenzia
spagnola di protezione dei dati un reclamo sia contro la casa editrice del
quotidiano che contro Google, chiedendo, rispettivamente, l’eliminazione dei
propri dati personali e la rimozione degli stessi dai risultati di ricerca. L’Autorità
respingeva il reclamo nei confronti della casa editrice, mentre accoglieva
quello contro Google, chiedendo l’adozione delle misure necessarie per
rimuovere i dati contestati dal proprio indice e renderne impossibile l’accesso
in futuro.
In sede di ricorso, da parte di Google, il giudice spagnolo investiva
la Corte di Giustizia europea di una serie di questioni.
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Le
motivazioni:
La Corte ha constatato che l’attività del gestore di un
motore di ricerca come Google, che “raccoglie” dati, li “estrae”, “registra” e
“organizza” nei suoi programmi di indicizzazione, li “conserva” nei server e li
“mette a disposizione” dei propri utenti sotto forma di elenchi di risultati,
configura chiaramente un’attività di “trattamento” dei dati personali, anche se
riguardano informazioni già pubblicate nei media. Il gestore del motore di
ricerca, quindi, è il “responsabile” del
trattamento dei dati, e lo è anche nel caso in cui si tratti di dati
contenuti in pagine web pubblicate da
terzi.
Nel caso in cui – ha affermato la Corte – a seguito di una
ricerca effettuata a partire dal nome di una persona, l’elenco dei risultati mostri
link verso pagine web pubblicate da terzi, l’interessato
può rivolgersi direttamente al gestore (oppure, se questi non dia seguito
alla domanda, alle autorità competenti)
per ottenere, in presenza di determinate condizioni, la soppressione di tali link dall’elenco dei risultati.
Tuttavia, poiché la soppressione di link dall’elenco dei
risultati potrebbe, a seconda dell’informazione, avere ripercussioni sul legittimo interesse degli utenti di
internet (ad es., il ruolo ricoperto da una persona nella vita pubblica
potrebbe giustificare un interesse preminente del pubblico ad avere accesso
alle informazioni su tale persona), la Corte ha constatato che è necessario
ricercare un giusto equilibrio tra tale
interesse e i diritti fondamentali della persona interessata, e cioè il diritto al rispetto della vita privata e
alla protezione dei dati personali.