“Al fine di fornire una più dettagliata informazione al consumatore ed incrementare lo sviluppo concorrenziale del mercato ittico, i soggetti che effettuano la vendita al dettaglio e la somministrazione dei prodotti della pesca possono utilizzare nelle etichette e in qualsiasi altra informazione fornita per iscritto al consumatore, la dicitura «prodotto italiano» o altra indicazione relativa all’origine italiana o alla zona di cattura più precisa di quella obbligatoriamente prevista dalle disposizioni vigenti in materia.”
Così recita il comma 14 dell’art. 59 del DL 22 giugno 2012, n. 83, recante “Misure urgenti per la crescita del Paese”.
Nell’intenzione del legislatore, tale disposizione dovrebbe contribuire a combattere il fenomeno della contraffazione nell’alimentazione, molto diffusa anche nel settore ittico (vongole turche spacciate come italiane, pangasio del Mekong come cernia, squalo smeriglio come pesce spada, ecc.).
Va sottolineato che l’indicazione dell’origine del prodotto, così come formulata nel citato comma, ha carattere puramente facoltativo, mentre ai fini del rispetto degli obblighi di etichettatura resta sufficiente la mera indicazione della “zona FAO” (che nel caso dell’Italia e di tutto il bacino del Mediterraneo è la n. 37). Questo rende in parte meno efficace la norma quale strumento anticontraffazione. Del resto bisogna però tener presente che un’eventuale obbligo deciso unilateralmente a livello nazionale non potrebbe che vincolare i soli produttori italiani, ed esporrebbe il nostro Paese al rischio di sanzioni da parte dell’UE.
Il decreto sviluppo è in vigore dal 26 giugno 2012, data della sua pubblicazione nel Supplemento Ordinario n. 129 della Gazzetta Ufficiale n. 147.