La Corte di Cassazione interviene, con una sentenza
favorevole ai contribuenti, (n. 23554/2012 dello scorso 20 dicembre) in tema di
Redditometro, il nuovo strumento di accertamento sintetico del reddito per la
lotta all’evasione fiscale.
Il decreto sul Redditometro prevede che, nel caso in cui
dall’accertamento risulti uno scostamento tra il reddito dichiarato dal
contribuente e le spese sostenute superiore ad un margine di tolleranza del
20%, scatta l’accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate. In tal caso, il
contribuente ha la “facoltà” di dimostrare che il finanziamento delle spese
effettuate è avvenuto con redditi diversi da quelli posseduti nel periodo
d’imposta, o esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta, o esclusi
dalla formazione della base imponibile, o ancora con redditi di soggetti
diversi dal contribuente.
In altre parole, secondo il decreto, spetta al contribuente,
convocato dall’Agenzia delle Entrate, l’onere della prova di giustificare l’incompatibilità
del reddito dichiarato con le spese effettuate e il tenore di vita accertato.
Secondo la Corte,
invece, non può ricadere sulle spalle del contribuente l’onere, eccessivamente
gravoso, di doversi difendere sulla base dell’accertamento da Redditometro.
L’accertamento sintetico, infatti, secondo la legge, consente
al Fisco di formulare , giuridicamente parlando, solo una “presunzione
semplice“, ma non una “presunzione legale” del reddito complessivo del
contribuente. Il Redditometro, quindi, si basa su una presunzione semplice, e,
di conseguenza, non inverte in alcun modo l’onere della prova nei confronti del
contribuente, come invece accadrebbe nel caso in cui si trattasse di una
presunzione legale (che definisce un fatto noto stabilito dalla legge).
In conclusione, l’onere
della prova, secondo la Corte, rimane a carico del Fisco, al quale spetterà dimostrare
l’evasione fiscale da parte del contribuente, e non viceversa.